Quale federalismo per il Sud/Necessari per lo sviluppo investimenti produttivi I guai prodotti dallo statalismo nel Mezzogiorno Indispensabile una classe dirigente di alto livello per le regioni svantaggiate di Gianni Ravaglia Roberto Saviano, nel suo libro Gomorra, racconta la storia di Pasquale, un sarto di Arzano. Uno dei tanti paesi del napoletano dove decine di fabbriche, gestite da imprenditori più meno contigui alla camorra, producono vestiti, a costi cinesi, per le grandi griffe internazionali. Il tutto rigorosamente in nero. Pasquale, scrive Saviano, ha smesso di fare il sarto la sera in cui, guardando in Tv la notte degli Oscar, si rese conto che il vestito indossato da Angelina Jolie, un completo fatto su misura, di raso bianco, bellissimo, lo aveva cucito lui. Era andato a prendere la stoffa, proveniente dalla Cina a spese del committente, al porto di Napoli e lo aveva cucito, come solo lui sapeva fare, sulle misure che gli avevano consegnato. "Questo va in America", gli avevano detto. Quando si rese conto che per seicento euro al mese sfornava vestiti da Oscar, crollò. Piantò il lavoro da sarto e si mise a fare il camionista. Non siamo di fronte ad attività criminali, tipiche della camorra. Siamo di fronte ad una realtà produttiva, gran parte di quel venti per cento di economia sommersa che nemmeno Visco vuol fare emergere. Lo dimostra il fatto che, se son vere le crude pagine di Saviano, non può passare inosservato all'occhiuta Guardia di Finanza che interi paesi, con migliaia di persone, vivono di lavoro nero. Lo stesso sindacato, abbarbicato al contratto unico nazionale e alla difesa di chi non lavora più, finge di non vedere questa Italia che entra nell'illegalità perchè quel contratto non se lo può permettere. Come le tre scimmiette, Stato, Sindacato e Confindustria non vedono, non sentono, non parlano. Sanno che, se aprissero gli occhi, centinaia di migliaia di lavoratori in nero perderebbero anche il misero stipendio che la rete di fabbriche clandestine, magari finanziate dalla camorra, passa loro. E così, mentre Visco si compiace di diffondere i dati di chi le tasse le paga, Saviano scarica le responsabilità sul capitalismo. Che ovviamente non c'entra nulla con un tessuto economico sommerso che si fa regole proprie, perché non riesce a vivere con quelle dettate dallo Stato. La domanda che, invece, ci si deve porre è: per garantire legalità e sviluppo, fermo il principio che lo stato di diritto deve valere per tutti, sono le regole dello Stato che vanno cambiate o sono le aziende in nero che vanno chiuse? La risposta non può prescindere dal constatare che il declino economico del sistema produttivo italiano è assimilabile a quello di aziende che hanno spese generali e amministrative fuori controllo, prodotti per lo più obsoleti, pur con punte di eccellenza, scarsa innovazione e preparazione del personale, ferrea difesa corporativa del posto, quand'anche improduttivo. Aziende ove, soprattutto, manca quello che gli esperti manageriali chiamano la "mission". Cioè quel senso comune degli obiettivi da perseguire che solo una classe dirigente di livello può fornire. Sta di fatto che i membri del sistema Italia si arrabattano come possono. I più lavorano sodo, nella legalità, ma sbraitano perché le spese improduttive dello Stato sono sempre troppe e, loro, pagano per tutti. Altri, stufi di pagare, investono fuori dall'Italia: delocalizzano all'estero. Altri sopravvivono, arroccati nelle riserve corporative. Altri, ancora, delocalizzano in casa. Per campare, vivono nell'illegalità. Quando nelle grandi aziende industriali ci si trova in situazioni di analoga disgregazione, per recuperare comuni obiettivi, prima si smembrano i centri produttivi e di costo e, poi, si rifocalizzano responsabilità, obiettivi e controlli. La cultura collettivista oppone a tali ragionamenti che lo Stato non è una impresa, ritagliandosi così il diritto di tassare e spendere a proprio comodo, anche a rischio di mandare fuori mercato le imprese. La cultura liberale, invece, vuole misurare il rapporto tra costi della sovrastruttura statale e capacità produttiva del sistema economico che la tiene in piedi. Stante il costo della nostra sovrastruttura, è evidente che sono le regole dello Stato che vanno cambiate. Cambiamento che, a questo punto, solo il federalismo può garantire. Federalismo che non serve solo al nord. Il nuovo presidente della regione Sicilia, Lombardo, ha dichiarato che vuole fare della Sicilia la nuova Irlanda, che con la tassa piatta del 20% e i bassi costi statali ha richiamato investimenti da tutto il mondo. Questa è la strada! Dopo i fallimenti dello statalismo meridionalista, un federalismo che riassegni responsabilità, rifocalizzi obiettivi, differenzi salari e costi, può davvero rappresentare la molla per far crescere anche il Mezzogiorno, per far rientrare nella legalità e valorizzare i tanti "Pasquale". |